Alcune indiscrezioni ricevute online da amici viaggiatori che ci precedono sulla tabella di marcia ci mettono in guardia riguardo ad una zona poco praticabile a causa dell’insidioso fesh fesh (sabbia finissima come farina che tende a far sprofondare i veicoli in transito).
Quindi mettiamo subito mano al computer per rivedere la traccia del giorno successivo: la famosa pista che dalla zona di Merzouga ci avrebbe condotto a Zagora. Riusciamo a bypassare la zona incriminata senza però tagliare fuori alcuni paesi che valeva a pena visitare. Appena fuori da Erfoud ritroviamo la pista che avevamo tracciato: attraversiamo villaggi con le caratteristiche case di fango (muri eretti con un impasto di fango e paglia essiccata) e moltissimi Ksar (così si chiamano le oasi) formati da immense coltivazioni a palmeti per la produzione dei gustosissimi datteri, frutti che rappresentano una delle maggiori fonti di sostentamento per gli abitanti della zona.
Affrontiamo gli sterrati in scioltezza aiutati dalla mancanza di polvere (spenta dalla pioggia caduta durante la notte) e, come al solito, le strade dei villaggi si animano al nostro passaggio e i bambini ci fanno ampi gesti di saluto che noi ricambiamo con piacere.
In breve lasciamo i luoghi abitati e ci si aprono davanti spazi sconfinati dove l’orizzonte pare scomparire e dove la traccia diventa un lungo e infinito rettilineo. Ci addentriamo in diversi Chott ovvero delle depressioni immense che una volta erano dei laghi le cui acque sono sprofondate. Le piogge dei giorni precedenti hanno richiamato in superficie parte dell’acqua del sottosuolo formando improvvisi tratti umidi nei quali si rischia fortemente di rimanere imprigionati.
Qualcuno, per attraversarli dà potenza alla moto cercando di rimanere in superficie mentre altri navigano a vista cercando di evitare le zone umide che si riconoscono dal colore più scuro. Il sole inizia a far sentire la sua presenza e in uno degli Chott attraversati riusciamo a vedere il fenomeno del miraggio: in lontananza quella che in realtà è solo una superficie sabbiosa, sembra trasformarsi in una altrettanto immensa distesa d’acqua.
E’ la prima volta che mi capita di assistere al fenomeno (nonostante abbia fatto il deserto più volte) quindi non posso fare altro che fermarmi qualche minuto a contemplare l’evento. Dopo aver attraversato alcuni piccoli valichi di montagna arriviamo a Zagora all’imbrunire. Facciamo sosta in un bar per il solito ristoratore the alla menta e per cercare un albergo per la notte approfittando del wifi free.
Anche questa volta riusciamo a trovare un bel rifugio in un auberge poco distante dal centro di Zagora e decidiamo di andare a visitare un altro deserto più a sud: l’Erg Chigaga, luogo che Massimo, il veterano del gruppo, ci indica come impossibile non vedere. Nello stesso albergo prenotiamo il pernotto presso un bivacco nel deserto per la notte successiva e fissiamo un appuntamento con il gestore del bivacco per il pomeriggio.
Partiamo da Zagora non prima di aver visitato una parte della locale “palmerie” un immenso parco denso di palme e piante tropicali: Ci attende un lungo trasferimento. Prima tappa Tamegroute, il villaggio noto per le sue ceramiche di colore verde e la kasbah quasi interamente al coperto. Facciamo un rapido giro all’interno del villaggio e una visita in una delle tante fornaci dove assistiamo al ciclo di produzione dei manufatti in terracotta. Il tempo stringe e occorre rimetterci in cammino. Man mano che procediamo la strada si trasforma dalla dura pietraia alla più morbida ma insidiosa sabbia. Procediamo spediti almeno fino a che, saltando un incrocio, ci troviamo fuori traccia lungo uno sterrato pieno di sassi che mette a dura prova braccia e sospensioni.
Dopo alcuni chilometri ci accorgiamo dell’errore e torniamo indietro ma il fato è sempre in agguato e una pietra impattata con più irruenza fa afflosciare la camera d’aria posteriore della mia Dr Big. Subito provvediamo a smontare la ruota e a sostituire la camera d’aria ma perdiamo il tempo che eravamo riusciti a guadagnare. Ritroviamo la traccia giusta ma sorpresi dal buio non riusciamo a trovare il luogo in cui avevamo fissato l’appuntamento con il gestore del bivacco ma, per fortuna, riusciamo a trovare invece un posto da cui è possibile effettuare una telefonata con il cellulare e rintracciare il nostro amico che, in pochi minuti, ci viene a recuperare e a condurre al bivacco.
Quella che sembrava una brutta situazione si è trasformata in una bella avventura facendoci provare il gusto di guidare sulle dune alla sola luce dei fari!
Il bivacco ci attende con le sue tende berbere a formare un circolo con la tenda più grande, quella della ospitalità, a formare la cerniera del cerchio. La notte ci avvolge tutta intorno e la luna rischiara alcune dune facendo risaltare il rosso della sabbia mentre la temperatura scende rapidamente. Ci riscaldiamo sorseggiando the intorno ad un grande fuoco al centro del bivacco. La cena è rigorosamente a base di prodotti tipici, che per noi ormai sono diventati familiari, ci porta a trascorrere la serata in completo relax. Il riposo all’interno della tenda berbera non fa che rendere il nostro viaggio ancora più memorabile.
Svegliarsi, aprire il telo della tenda e trovarsi immersi nel nulla con vista su dune alte più di cento metri ha il suo indiscutibile fascino e nessuno perde l’occasione di lasciare una temporanea traccia della moto sui morbidi declivi sabbiosi, quindi colazione di nuovo in marcia. Questa volta la barra la direzioniamo verso nord perché da quel momento inizia la risalita verso Tangeri.