
Dopo le precedenti esperienze desertiche in Tunisia non poteva mancare il Marocco, la meta intrisa di leggende per chi come me ama il fuoristrada e, in modo speciale, l’enduro adventure. Ci sono volute tanta pazienza e passione per preparare la trasferta di 5 moto e 1 veicolo 4×4 di assistenza perché eravamo tutti perfetti novizi di quel luogo, tanto che le uniche conoscenze del territorio erano le tracce ricavate pazientemente su Google Earth.
Con tanto entusiasmo e una modica quantità di azzardo arriviamo in Marocco in tarda serata, dopo oltre 60 ore di navigazione, al nuovo porto di Tanger Med dove ci attendono le usuali lungaggini burocratiche. Stupisce tutti come l’Africa faccia sentire il suo fascino anche se il buio copre tutto quello che è intorno: potevamo essere in una qualsiasi parte del mondo, invece no: sentivamo di essere inconfondibilmente nel Continente Nero.
Sarà il silenzio che avvolge tutto, saranno gli odori che ci seguiranno per tutta la nostra permanenza, ma non c’è alcun dubbio di essere parte dell’Africa e di essere in procinto di vivere un’altra bella avventura. Con le indicazioni di un gentile indigeno conosciuto in traghetto troviamo posto in un appartamento poco distante dal porto; il bivacco è necessario per trascorrere le poche ore di buio che ci separano dall’inizio del viaggio e per evitare di percorrere di notte strade che conosciamo solo sulla carta.
Assaporiamo subito gli usi locali essendo svegliati all’alba dal richiamo alla preghiera del muezzin che, dall’altoparlante della vicina moschea, intona la nenia alla quale faremo abitudine nei giorni seguenti. Sveglia e subito colazione locale a base di the alla menta, uova al tegame e altre vivande che mai avremmo assaporato in patria di prima mattina.
Dopo colazione, finalmente, si sale in sella per il via della nuova avventura!
Trasferimento stradale lungo la costa est-mediterranea del Marocco che ci conduce al meraviglioso paese di Chefchaouen, la città celeste. Tutto intorno i colori celeste e bianco rendono il posto veramente incantato anche se la vocazione turistica la rende un continuo bazar dove si vendono i più disparati souvenir e dove bisogna avere l’occhio lungo per fare dei veri affari. Il clima è magnifico e la temperatura quella giusta per viaggiare senza particolari patimenti. Salutiamo un amico italiano che si è trasferito in loco da circa 30 anni e che ci dà alcuni consigli sul prosieguo del tragitto ma. naturalmente, decidiamo di riprendere la strada che a noi sembra migliore e più corta per arrivare alla meta successiva: Fes.
La via che sembrava molto comoda all’inizio, improvvisamente inizia a salire di quota e a diventare sempre meno adatta a un trasferimento veloce come intenzione originaria. Pian piano l’asfalto scompare e ci troviamo a percorrere strade dissestate in mezzo al nulla mentre il sole inizia a calare lasciando spazio al buio della sera con conseguente diminuzione della media di percorrenza.
Infatti arriviamo a Fes in ora piuttosto tarda ma riusciamo comunque a trovare un ricovero per noi e i nostri mezzi. Un bel riad in piena Medina ci accoglie stanchi e impolverati. Solo una doccia calda e ristoratrice aiuta a riprendere forze e aspetto decente in poco tempo. Il mattino seguente visitiamo velocemente la Medina di Fes (parte vecchia della città circondata dalle mura) e le concerie che la rendono famosa. Inutile dire che tutta la lavorazione avviene in precarie condizioni di sicurezza, come del resto quasi tutte le attività artigiane marocchine. In particolare vediamo che le pelli sono conciate utilizzando una mistura di acqua e guano agitata a mani nude dai conciatori. Da noi sarebbe impensabile una cosa simile.
Un po’ in ritardo sulla tabella di marcia ci mettiamo in viaggio per Missour, ma abbiate pazienza di attendere la seconda parte.
…. segue.